Sul dialetto della Valle di Non
In principio, ipotizzando le esigenze legate alla diffusione informatica e ben conoscendo le difficoltà della parlata nònese, si pensò di far ricorso al mouse che scorrendo sui termini meno comprensibili ne avrebbe evidenziato il significato italiano in una nota. Ci si accorse subito che tanto non bastava e che si doveva pertanto ricorrere ad una traduzione integrale delle poesie.
Il mouse venne nuovamente chiamato in causa, questa volta per far risaltare l'intera "Traduzione italiana". Il simpatico accessorio, pur capace di ingegnose funzioni, non dava tuttavia i risultati sperati sul Web. Qualche osservatore suggerì, anche in previsione di un'edizione cartacea, una comparazione immediata delle poesie, per offrire così la possibilità di una lettura contestuale del testo e della traduzione impaginati accanto .
Detto e fatto.
E siamo nell'attualità, con risultati che fanno ben sperare.
C'è già chi ottimista ipotizza il sonoro espresso da locutori nònesi e musiche originali; chi prevede inserzioni in palinsesti culturali delle emittenti locali collegabili in streaming. Amici, infine, amanti del libro che invocano appunto, il supporto cartaceo.
Vedremo.
In attesa degli eventi, sopratutto consci dei nostri limiti, rileviamo con piacere visite di Lettori ascrivibili a nazioni del tutto inattese, come le cinesi, le giapponesi, le australiane, le asiatiche. Sono presenze casuali -è chiaro- capaci tuttavia di far ben sperare, se consideriamo con la storia di questa iniziativa, l'andamento dei Lettori statunitensi.
Gli Americani infatti, appena pochi anni orsono si contavano qui sulle dita delle mani; già agli inizi del 2009 tendevano ai vertici delle rilevazioni statistiche riguardanti il sito.
Una visibilità che riteniamo vada ascritta allo spirito che lega i nostri emigrati, orgogliosi conquistatori di una cittadinanza ambita pur rimanendo fieri delle loro origini. Forse anche per questo convinti cultori delle tradizioni e del dialetto.
A tale proposito è stato emozionante per noi osservare giovani di terza generazione, ascoltare con grande curiosità il nostro incompreso dialetto. Taluno, fra i più piccoli, annunciava con slancio tipicamente giovanile di volerlo imparare il Nònes. Altri fra gli adulti, già lo indagava; altri ancora, discendente di nònesi illustri, intraprendeva faticose trasferte per effettuare ricerche sul campo, come quella del 2009, di Carol Genetti, direttrice dell'Istituto "inField", Dipartimento di Linguistica, Università di Santa Barbara (Ca).
Possiamo ben dire quindi che a distanza di un secolo dai grandi flussi migratori verso le Americhe, grazie a costoro, a New York come a Denver, a San Francisco come a Dallas, a Portland come ad Atlanta, ma anche ad Albuquerque, a Houston, a Cheyenne, a Rock Spring, a Santa Barbara, a Tucson, a San Diego, a Durango, a Oakland, a Saint Louis, a Sunnyvale, a Cupertino, a Jersey City, a Bayfield o a Tempe, il Nònes risuona. Risuona, magari con semplici parole, timide frasi, o avanzati studi, ma anche con entusiasmanti, interminabili chiacchierate fatte fra noi, vecchi "sapienti" rimasti. Noi che fra gli ultimi siamo capaci di testimoniarlo fluentemente il Nònes arcaico o blót; cosi com'è rimasto, ossia cristallizzato dalla lontananza. Blót, vale a dire nudo, senza modifiche introdotte dall'uso; nudo come i ricordi delle cose belle del passato che la mente tramanda; nudo come l'amore per il lontanissimo campanile e i racconti che culminano nei festosi polenta party celebrati nel mondo. Già: polenta e dialetto. Due strumenti invocati da sempre per saziare corpo e spirito dei Nònesi lontani. Un legame strettissimo questo, forse lo stesso che induce noi emigranti a praticare la parlata arcaica della Madre terra, sia come semplice chiacchierata, sia come idioma ricoperto dallo smalto delle origini rètico-romance che lo vorrebbero eletto al rango di lingua.
Sia quel che sia, il Nónes che da ultimi vorremmo tramandare, questa nostra parlata che ostentiamo con entusiasmo in ogni occasione quasi a volerne perpetuare il segno, ha per noi una valenza in più, è un medium capace di suscitare grandi sentimenti e nobili intese.
Fonti:
Enrico Quaresima, Vocabolario anaunico e solandro, Venezia-Roma, 1964.(Vedasi Bibliografia)
Vittore Ricci, Vocabolario Trentino-Italiano, Trento, 1904. (Vedasi Bibliografia) Gino Ruffini, Ambiente Trentino, www.ambientetrentino.it/idiomi che parlano al cuore
:::: 1. Premessa
Com’è noto, le lingue, i dialetti e le parlate evolvono in un processo senza ritorno. La mia, quella dialettale, che ho appreso da bambino fra gli anni trenta e quaranta a Cles ed esercitato nella famiglia originaria nella allora lontanissima metropoli milanese, fa ora sorridere i residenti della Valle di Non. Primi fra tutti gli stessi coetanei che hanno avuto la fortuna di crescere ed invecchiare all’ombra del campanile. Loro stessi quel dialetto non lo praticano più, perdendone con i vocaboli anche la ricchezza che si vorrebbe perpetuata. Per questo, con altri, ritengo grande e meritoria l’opera degli Studiosi che si occupano di questa branca del sapere; che scrivono perciò in dialetto, indagandolo per penetrare con l'etimo la Cultura e la Storia locali.
Senza di essi infatti l'originaria Comunicazione fletterebbe, chiusa nelle biblioteche e nelle pagine dei rari libri, fino a sparire. Proprio come accade nel tempo e nell’isolamento dell’emigrazione con l'ineluttabile scomparsa dei soggetti.
:::: 2. Compilatori e strumenti
Enrico Quaresima, (Compilatore del “Vocabolario anaunico e solandro raffrontato col trentino”, Istituto per la collaborazione culturale Ed., Venezia-Roma, 1964) e Vittore Ricci (padre del "Vocabolario trentino-italiano", Zippel Ed. Trento, 1904) sono gli studiosi che in ogni dove, nelle Biblioteche, nei manoscritti, nelle conversazioni con vecchi saggi, notoriamente depositari del sapere valligiano hanno ricercato e indagato per coronare le loro fatiche, consentendo anche a me di gettare le fondamenta per dare un minimo di scientificità a questo tentativo di tramandare il mio idioma.
Il Quaresima evidenzia subito: “(...) un sorprendente numero di sottodialetti o varietà vernacole..." collocabili geograficamente, idiomaticamente e ...grosso modo... in quattro regioni vallive":
-la prima, comprendente la Media e Bassa Val di Non;
-la seconda, riguardante la parte Alta della medesima;
-la terza e la quarta infine, delimitanti l’attigua Val di Sole, rispettivamente nella parte Bassa ed Alta.
Per ognuna di queste parlate, a diletto dei glottologi, lo Studioso specifica differenze, assonanze e traduzioni (che qui trascuro non senza disagio), privilegiando l’assoluta essenzialità assai gradita dai navigatori della rete.
Varrà tuttavia la pena di aggiungere:
a) che il “Vocabolario” del Quaresima registra la parlata “medioanaunica”;
b) che essa differisce, per quanto già detto, da quella di Cles allora corrente e da me appresa;
c) che gli influssi dei dialetti “terzi” su quello della Valle di Non risultano, a detta dell'A. "insignificanti".
Il professore, a tal proposito, scrive che il dialetto nonese/solandro è comunque: "... affine al dialetto trentino, specie a quello rustico e arcaico...”. Lo studioso precisa inoltre, che dal Trentino, ha mutuato una percentuale di parole e locuzioni elevatissima, pari: "...all’ottantacinque per cento." (!).
D’altra parte -osserva sempre l’A.- i “siori”, ovvero i valligiani “di ceto”, quali medici, sacerdoti, maestri, solevano distinguersi anche attraverso la parlata “zivìl” (civile), esprimendosi nel dialetto cittadino del capoluogo, Trento appunto.
Non meno interessante l'opera del Ricci, nata mezzo secolo prima. In questo vocabolario la parlata di Trento costituisce una solida base per le etimologie, le modificazioni e quant'altro ascrivibile a confronti linguistici e all'uso. Modificazioni lente, legate quindi alle comunicazioni, al suolo, alle strade, quindi alla mobilità delle popolazioni.
:::: 3. Le peculiarità del
Concluderò queste brevi note sul Vocabolario nonese trascrivendo le principali chiavi di lettura in esso elencate; lo farò per quel tanto che serve a comprendere le fondamentali peculiarità, più che le infinite, talvolta lievi differenze, storicamente agevolate non solo dalla lenta diffusione della Stampa, ma anche dalla morfologia del territorio, nonché dalle carenti vie di comunicazioni appena migliorate nel tempo.
Basterà infatti considerare le parlate della pianura che variano su distanze chilometriche ragguardevoli, per accorgersi che nella Naunia invece, differivano non solo fra località ubicate a Oriente ed Occidente della medesima (ora divisa dall'acqua del lago, allora da profondissime forre) ma addirittura fra località disposte sullo stesso versante vallivo, quando morfologia, idrografia, con sporgenze, declivi, rivi, semplici ostacoli insomma, intervenivano per interrompere la continuità territoriale.
Ricordo vivamente la “differente” parlata di mio padre nato da antichissima famiglia a Brez, rispetto alla mia, la variante clesiana. Ancor più ho presente quella di mia madre, nata a Mezzolombardo, giù, nella Piana Rotaliana, assai prossima a Trento e per questo tendente al dialetto del capoluogo detto "zivil" a merito della sua affinità con le parlate veneta e nazionale.
Poi l’attualità, con le moderne comunicazioni che espandono, amplificano voci, suoni ed immagini grazie ai media, quali radio, cinema, televisione, telefonia terrestre e satellitare che tutto scavalcano. Ora la lingua italiana è correntemente parlata in Valle di Non, con lievissimi accenti e rara proprietà arriva fin dentro il frutteto, sotto i “pomari”.
Vediamole dunque queste particolarità, queste "differenze" riportate dal Quaresima:
à ha ( ausiliare o verbo a sé).è, ò vocali dal suono aperto o largo, come nelle parole italiane letto, lotta.
e, ó vocali di suono chiuso o stretto, come nelle parole italiane legno, onda (é che qualcuno rileverà è licenza personale).
ö vocale turbata o mista, comune al dialetto lombardo.
u vocale che nell’alto naunico (seconda zona) si pronuncia come un u cupo, tendente verso o; nelle altre tre zone invece, come un u chiaro, più o meno tendente verso i.
ü vocale turbata, che il Vocabolario colloca nelle zone Terza e Quarta, ma non nella Prima.
au, ue, ou, iu dittonghi generalmente considerati nel Vocabolario, ma che, quando si tratta del medio e del basso naunico (Prima zona) e di parecchi paesi della Val di Sole, vanno pronunciati ao, eo, òo, ìo.
c in fine di parola, indica la c palatale di cena, amici
c’ in fine di parola, indica un suono semipalatale pari a cj dell’interno delle parole
s-c in voci come s-ciampar, vis-cio, sc-iàpotada, la lineetta indica che le due consonanti hanno vita propria e non vanno confuse con l’italiano sc di voci come moscio, liscio.
ss indica l’s palatale sordo, fra vocali, senza allungamento o raddoppiamento del suono. Oppure (in qualche varietà alto-naunica) un suono fricativo corrispondente alla x della lingua greca (p.e. messa bassa).
zz si pronuncia come l’s romano sordo fra vocali, senza allungamento del suono (p.e. ciazza forada; Mezzana; mazzar).
:::: 4. I nessi chia- e ghia-
Ma è nei suoni trascritti come chia e ghia, riportati talvolta anche dal Quaresima, che emergono le differenze più consistenti fra il dialetto da me appreso, quindi utilizzato nella compilazione dei miei testi. Differenze che potrebbero disorientare il lettore frettoloso che consultasse l’ormai raro Vocabolario (che ha recentemente trovato sapiente ristampa), senza leggere attentamente le trenta pagine dell’indispensabile premessa; come chi, d’altra parte, ignorasse la pronuncia di quel “chi” di allora, che trova un esatto riscontro nel termine tedesco Mädchen (ragazza, domestica). Gli esempi qui sotto trascritti credo possano meglio orientare il Lettore e chiarire il concetto.
Lemma vocabolario
CiampanèlCjastèl
Ciàora
Giàida
Ginòcel
Giambal
Segiadór
Segiàla
Salvàdec
Nones clesiano anni '30
chiampanèlchiastèl
chiàora
ghiàida
ginòchiel
ghiambal
seghiadór
seghiàla
selvàdech
Dialetto di Trento
campanèlcastel
caora
gaida
ginocio
gambal
segador
segala
selvadec
Italiano
campanellocastello
capra
grembo
ginocchio
gambale
falciatore
sègale
selvatico